mercoledì 22 ottobre 2014

Siamo ragazzi 1.0

Salve a tutti annoiati e un po' disperati girovaghi della rete, che vi trovate a impiegare il vostro tempo a leggere questo articolo quando potreste fare cose molto più utili come lamentarvi del tempo, guardare gli operai a lavoro nei cantieri, giocare a bocce... sì, perché vi conviene farlo ora, visto che tanto la pensione non la vedrete mai. Eh sì, metteteci una pietra sopra: i vecchi cari giorni in cui ci si godeva il meritato riposo dopo anni e anni di lavoro sono finiti: ora siamo nell'era 2.0, in cui chi si ferma è perduto, in cui si deve prendere la palla al balzo, saltellare da un impiego ad un altro per evitare il temibile tedio del posto fisso, come se fosse difficile evitarlo. Quindi evviva la precarietà, la disoccupazione e gli espedienti che ci tengono lontani dalla noia e dalla pensione, che invece trascorreremo distribuendo volantini in giro per i parchi, avvicinando di tanto in tanto qualche ragazzino (per i più audaci ricordatevi: se non gli chiedete l'età tutto è lecito) per tirare avanti e pagare l'abbonamento col quale avremo preso il nuovo Iphone. Eppure in questo periodo chi mi sta attorno mi trova più acido del solito -a quanto pare Camilla M. è una cartina tornasole umana- e il motivo è presto detto: la nostra avventura nel Servizio Civile sta per finire e ci troveremo di nuovo catapultati nel mondo delle offerte di lavoro con richieste assurde del tipo (e copio il mio post di qualche tempo fa sul faccialibro):

Guardarobiere. Richiesta laurea in chimica.
Apprendista muratore. Richiesti 50 anni di esperienza minimi.
Addetto alle vendite per industria di pelletteria. Richiesti 10 anni di allenamento nella stanza dello spirito e del tempo
Assistente operatore ecologico. Richiesto un drago possibilmente millenario.
Giardiniere: Richiesta esperienza pregressa nei giardini pensili di babilonia, patentino di druido e una scimmia di giada.
Stamattina sono stato a cercare lavoro, ero così disperato che pensavo di mettermi a pulire i vetri delle macchine, al Centro per l'Impiego mi hanno proposto un tirocinio non pagato presso il semaforo in via Roma. L'attrezzatura e l'acqua a mie spese ovviamente. Quello che mi dispiace più lasciare è la stabilità, la sicurezza che mi aveva concesso questo anno. Chiamatemi sentimentale, antiquato, 1.0 o addirittura idealista (scusate la parolaccia) ma ho scoperto che la stabilità mi piace. Mi piacerebbe pensare che fra un anno avrò i soldi sufficienti per comprare una moto che non mi pianta in asso in mezzo di strada, che fra due potrei andare a vivere da solo e dopo ancora avere una famiglia, fino a potermi rilassare su una panchina guardando i miei nipoti che giocano, magari parlando del tempo pazzo con un altro pensionato accanto a me. Ma a quanto pare è un'eresia sperare in una vita tranquilla, dunque per essere al passo con i tempi avere una famiglia è fuori discussione, invecchiare è out e il posto fisso solo un'utopia da comunisti incalliti che non capiscono che le aziende falliscono se le persone pretendono uno stipendio accettabile, delle condizioni di lavoro decenti e delle motivazioni per essere cacciati via. Senza le aziende, chi ti proporrebbe i tirocini sottopagati per poi ridere sentendoti parlare di un'eventuale assunzione? Eppure in giro vedo sempre più mercedes, sempre più macchinoni e coupè. Mi diceva una utente danese che il problema in Italia è che chi ha i soldi non paga le tasse, perchè in Danimarca gli studenti non pagano tasse universitarie e percepiscono 500 euro al mese fino alla fine degli studi più altrettanti per i primi due anni di disoccupazione, eppure la cosiddetta crisi è anche là... In definitiva, finito il Servizio Civile penso che fra un lavoro a tempo determinato e un tirocinio mi metterò a fissare le nuvole, guardare i lavori stradali e a godermi la pensione che tanto, per noi generazione con le tasche vuote e lo smartphone in mano, non arriverà mai.

 (Mattia)



domenica 19 ottobre 2014

Polaroid da Bosco in Festa






 



mercoledì 15 ottobre 2014

Impara l'arte e mettila da parte - riflessioni sul futuro (im)precario

Oggi di nuovo la splendida Camilla M. (nella foto mentre viene legata da Mattia durante un turno al bancone del MMAB) ci delizia con un racconto sulla sua infanzia. E sul precariato. E sulla differenza tra generazioni. Buona lettura!









Per iniziare questo post partirò dalla mia infanzia, ma per parlare della mia infanzia parlerò di mia nonna. Tra i racconti che mia nonna ripeteva all'infinito c'era l'esame di quinta elementare, nel 1931, superato con un “dieci e lodi particolari dalla direttrice”. Il giorno del tema di italiano, mi diceva soddisfatta, fece tre temi differenziati, due per dei carabinieri che dovevano prendere la licenza elementare e uno per sé. Il racconto dettagliato sui suoi temi era poi seguito dal racconto di come i maestri avessero voluto parlare con i suoi genitori, insistere perché continuasse a studiare perché solo con la quinta era sprecata, offrendosi di aiutarla a studiare per corrispondenza, visto che le medie erano a più di 100 chilometri dal suo paese. La conclusione era poi amara: sua mamma aveva già deciso che dopo le elementari la attendeva il lavoro di sarta, al quale era stata già avviata a 9 anni. “Impara l'arte e mettila da parte, diceva mia mamma... Ma poi da parte non me l'ha fatta mai mettere”, la frase finale, sempre la stessa, era accompagnata da una risata quasi simile a un sospiro.
Quando ho compiuto 9 anni mia nonna mi ha regalato un ditale ed un ago, raccontandomi di nuovo la storia della sua carriera di sarta, aggiungendo dettagli sui libri che teneva sotto la gonna e leggeva di nascosto quando sua madre non c'era. “Impara l'arte e mettila da parte” diceva anche a me mentre mi preparava le lezioni di cucito. Ricordo di essere stata molto contenta di imparare a cucire. Anche perché nel mio caso l'arte la mettevo davvero da parte, anzi, potevo permettermi anche il lusso di non impararla o impararla così così. Cosa che ho fatto, purtroppo, nonostante mi ci applicassi con entusiasmo.
Dopo le elementari, concluse egregiamente per la gioia di mia nonna, nella mia vita ho potuto permettermi le medie, le superiori, l'università. Direi che è andato tutto benissimo e sono stata fortunata: non c'è stato bisogno di grossi sforzi, nessuno mi ha mai vietato di leggere o studiare, nessuno mi ha dato un'arte per poi non farmela mettere da parte. Anzi. Da parte c'ho un sacco di cose. Solo che non si chiamano arti né mestieri. Si chiamano “competenze tecniche”, “competenze relazionali” o “altre competenze”. A volte sembrano cose inutili o senza senso, forse perché sono in inglesorum e nessuno ci capisce niente, forse perché, come ci tengono a comunicarti in maniera più o meno esplicita in molti colloqui di lavoro, si può trovare una qualsiasi scimmia ammaestrata che li impari e ti sostituisca se non sei abbastanza “flessibile”o motivata al lavoro gratuito per la nobile causa dell'azienda. In ogni caso, utili, inutili, essenziali, irrilevanti che siano le tue competenze ti conviene metterle nel curriculum, che tanto fanno ciccia e lo rendono più figo. Sempre che qualcuno lo legga. Insomma “prendi le tue competenze tecniche e mettile nel cv” avrebbe detto mia nonna nel XXI secolo, mentre mi insegnava ad essere multitasking.

mercoledì 8 ottobre 2014

- 29 Giorni alla fine di Civilupo

(Grazie a Stefania per il dito)
L'altro giorno eravamo per strada e abbiamo incontrato un nostro amico e lettore, Matteo Mirenda, ceramista di famiglia e rugbysta di vocazione, che tutto sorridente ci ha parlato della sua intenzione di fondare un blog sulla città di Montelupo e sulla tradizione di ceramica artigianale che la caratterizza, e del fatto che gli piacerebbe includere anche noi di Civilupo,  che ormai da un po' ci occupiamo del territorio (oltre che dei fattacci nostri) nei post che scriviamo, e per questo costituiamo una realtà informativa. Dopo aver lodato Matteo per la sua iniziativa (è cosa buona e giusta), siamo stati costretti a fargli notare che, come nella apocalittica  canzone dei Nomadi (che ci piace ascoltare nella versione dei CSI) ,noi non ci saremo. Lui ci è sembrato che ci sia rimasto abbastanza male.
Approfittiamo di questo post per farlo presente anche a tutti gli altri nostri lettori: Civilupo, come si suol dire, non mangerà il panettone. Lo abbiamo creato noi del Servizio Civile 2014, e il prossimo 6 Novembre, tra esattamente 29 giorni, il nostro anno di volontariato finirà. E con esso il blog.
È forse ancora presto per fare bilanci; di certo, invece, è troppo tardi per fare progetti. Ci siamo interrogati a lungo su come far proseguire la vita di questo spazio che ci piace al punto da passare interi pomeriggi non lavorativi a scriverci, anziché, chessò, inforcare la bicicletta e andare fuori al sole. Ci siamo informati, abbiamo fatto un miliardo di ricerche per scoprire che la verità è una sola, per questo blog e per la vita: se non c'è una volontà di fondo, una voglia di fare, di capire, di scrivere, di andare, le cose non si concretizzano. Non proseguono, non vanno avanti. E così, quando non ci saremo più noi, con la nostra curiosità e le nostre idee, forse Civilupo terminerà per sempre.
 Lo sappiamo, è na tristezza, è un post pesante, ma serve a voi quanto a noi. Per abituarci almeno all'idea di stare senza Civilupo e invitarvi a leggere quello che scriviamo con ancora più avidità, sapendo che ne avrete ancora per poco. SIGH.

domenica 5 ottobre 2014

Civilupo incontra StileLibero


Le vedete queste tre giovani sorridenti? Sono Belinda Ninci, Marianna Castellani e Valentina Batini: le StileLibero. Da alcuni mesi rappresentano una realtà artistica montelupina e dopo aver partecipato agli eventi organizzati dal Comune aprendo i loro studi e presentando nuovi lavori, stanno organizzando il primo vero e proprio happening interamente pensato e progettato da loro.

Vogliamo premettere che questa per noi è stata più di una semplice intervista: quella che abbiamo fatto sotto il pergolato di Piazza della Libertà è stata, infatti, una corroborante chiacchierata su tematiche quali cosa sia l'arte, perché non viene compresa, cosa si può fare a riguardo, il benessere dell'attività artistica al di là del benessere economico che questa può dare, come e quando un artista rompe le scatole e perché è bene che lo faccia forever and ever, come si mantiene alta la qualità del proprio lavoro, perché l'arte non è intrattenimento, l'importanza del discutere di ispirazioni e mete artistiche anziché di mete commerciali e molto, molto altro. Ci sentiamo di dire che noi di Civilupo consideriamo tutto ciò che riguarda l'arte una questione fondamentale e che durante l'intervista ci è capitato di chiederci come mai non ne parliamo ogni santo giorno che il padreterno mette in terra. Tutti dovremmo parlarne. Parliamone tutti, parlatene anche voi.
Volendo trascrivere l'intervista per intero, ci sarebbero volute settordicimilamille pagine di blog, e quindi quella che leggete qua sotto è la trasposizione degli elementi che più vi faranno conoscere le attività del gruppo StileLibero e lo spirito con cui le nostre tre lavorano. Buona lettura.

Civilupo: Com'è nata l'idea di formare questo...questa...formazione? Come dobbiamo chiamarvi?
StileLibero: Potete chiamarci semplicemente gruppo! Siamo un gruppo che si è formato intorno agli eventi natalizi della fine del 2013. Valentina, dopo aver chiuso il suo atelier, stava tenendo una mostra in uno spazio provvisorio, mentre Marianna aveva lo studio chiuso da tempo per matenità e Belinda aveva trovato la sua dimensione nei corsi di pittura ma era alla ricerca di nuovi stimoli. Nello stesso periodo si stava chiudendo la campagna elettorale e il fatto che alcuni dei candidati ci abbiano chiesto cosa avremmo voluto cambiare di Montelupo ci ha spinte a farci domande sullo stato dell'arte, in particolare nel centro storico. Così abbiamo avuto modo di conoscerci meglio ed è nata l'idea del gruppo.

C: Come funziona StileLibero? Quali occasioni di confonto avete?
SL: Ci confrontiamo costantemente, costantemente parliamo di cosa potremmo e vorremmo fare e in che modo. Ci vediamo tutti i giorni e in questo un contributo fondamentale lo dà la vicinanza fisica: il centro storico è il luogo dove Marianna e Belinda hanno i loro studi (Marianna Castellani in Via Baccio da Montelupo, Belinda Ninci in via XX Settembre vicino Piazza della Libertà, n.d.r.) e dove Valentina attualmente lavora, così ci troviamo a prendere un caffè e lì nascono le nostre idee.

C: Avete delle regole come gruppo artistico?
SL: : Il gruppo è un'unione libera, che non ha un manifesto che definisce l'oggetto della ricerca, e in cui non ci sono vincoli ma il rispetto delle singole operatività e la voglia di un confronto e di una collaborazione fruttuosa. Il gruppo StileLibero aiuta ciascuna di noi ad uscire dalle proprie abitudini, dagli schemi che tendiamo a utilizzare nel nostro lavoro. Ognuna ha una base di ricerca artistica che esiste nonostante tutto: da questo siamo partite e abbiamo fondato il movimento.

C: Qual è stato il percorso che avete creato fino a ora?
SL: L'intento fino a questo punto è stato quello di creare degli spazi che fossero luoghi d'incontro e non soltanto di esposizione. Durante gli eventi organizzati dal Comune quest'anno abbiamo ospitato nei nostri studi alcuni interventi multidisciplinari. Era il progetto Open Lab: fare sì che le persone visitassero gli studi dove esponiamo il nostro lavoro e il lavoro di altri artisti come spazi aperti, fruibili. Ora con il progetto En Plein Air di Ottobre vogliamo fare il passo successivo, facendo uscire l'arte dagli studi e portandola direttamente in piazza.

C: Cioè? Che succede a Ottobre?
SL: Sabato 11 Ottobre si terrà in Piazza della Libertà "Sedie in Piazza", un evento per creare il quale abbiamo aderito all'invito dell'AMACI, che ha scelto questa data per la decima edizione della Giornata del Contemporaneo (per chi volesse saperne di più, trovate tutte le informazioni qui). Abbiamo invitato artigiani e artisti a portare in piazza le proprie sedie senza porre limiti disciplinari: sedie scolpite, sedie di legno su cui esibirsi in una live performance, sedie metaforiche, sedie letterarie. Vogliamo rendere l'arte direttamente fruibile per il pubblico e mostrare anche il lavoro che c'è dietro, che spesso non viene compreso.

C: Avete progetti per il futuro?
SL: Abbiamo alcuni progetti che però sono a lunga scadenza. Stiamo già pensando adesso a quello che succederà, per esempio, a Settembre 2015. Ci interessa dare respiro alla riflessione, che è una cosa che ogni pratica artistica richiederebbe. Fare interventi artistici a tre teste richiede un lavoro in più, più strutturato. Un'altra cosa che ci piacerebbe è costruire una rete sul territorio. Vorremmo che fosse più naturale parlare della propria ricerca artistica o artigianale per tutti coloro che la praticano intorno a noi. In fondo StileLibero non è nato tanto come progetto ambizioso quanto come pratica di buon vicinato: io sono artigiano, lo sei anche tu, lavoriamo vicini e allora ci incontriamo e parliamo di quello che facciamo. Speriamo che gli eventi che creiamo siano occasioni di incontro in questo senso.


mercoledì 1 ottobre 2014

Il mio futuro è tra i marziani

Oggi lasciamo la parola a Camilla R., la nostra anziana mangiatrice di soia che ci propone un pezzo sul maggico mondo dei giovani choosy, bamboccioni, sfigati eccetera eccetera eccetera - elencare termine a caso che negli ultimi tre anni è stato attribuito ai ragazzi in cerca di lavoro. Buona lettura. 
(Nella foto, la mascotte/ scaffale del MMAB creata da noi.)







Siete mai stati disoccupati? Non è malissimo, le prime mezz'ore. Mi spiego: quando uno è disoccupato, tende naturalmente ad alzarsi dal letto più tardi e più intontito di quando deve andare a lavorare. Okay, il bravo genitore o il life coach esperto o il perfetto manuale dell'uomo di successo ci diranno che dobbiamo svegliarci presto, fare esercizi di meditazione, riflettere su cosa vogliamo dalla vita, bere un frullato vitaminico di cetriolo e banana e vai a sapere che altro per mantenere alta la dignità e il livello fisiologico di speranza verso il futuro, ma siamo seri. L'agenzia interinale non apre prima delle nove, è vicino casa e resta lì almeno fino a mezzogiorno e mezzo. Un'oretta in più di sonno ce la meritiamo pure, visto che soldi non ne guadagnamo.
Insomma, dicevo, ci si sveglia intontiti. E quell'essere intontiti è sublime. Perché non ci si ricorda, è uno stato di benedizione, di grazia, di concessione di ferie da quel posto di lavoro costante che è vivere. Soprattutto non ci si ricorda che spesso il fatto di dover andare a lavorare tutti i giorni non è soltanto una certezza fisica ed economica, ma è anche un modo per mettere tanti problemi in stand by. Problemi di socialità, di senso, di rapporti umani, di quello che siamo ancora disposti a imparare o a disimparare, del carattere de sta cippa che ci ritroviamo; tutte cose che non contano quando si possiede un sano e sincero contratto a tempo determinato.
Io non sono stata disoccupata a lungo, ma lo sono stata tante volte. Diciamo che la disoccupazione nella mia vita è un po' la terza certezza: c'è la morte, c'è mia madre che mi telefona per chiedermi se per caso non voglio un chilo di pomodori che le avanza, e poi c'è la disoccupazione.
Alcuni miei compagni di università proprio non riescono ad abituarsi a questa cosa. Per dire, c'è una mia amica che si è laureata in giurisprudenza, ha fatto due anni di praticantato non retribuito, ha dato l'esame di stato, è diventata avvocato, ha trovato il suo primo impiego e mo' sono passati un tot di mesi ed è disoccupata. Disperata, scrive su facebook strazianti massime sull'incomunicabilità esistenziale del giovane laborioso, posta foto di scatole da ufficio tipo quelle che si vedono nei telefilm americani in cui ha riposto i pochi oggetti che stavano sulla sua scrivania nello studio dove lavorava, ringrazia sentitamente la sagra dell'anatra muta di Marcignana per aver permesso anche a una povera come lei di mangiare da signora.
Invece io no. Io, come nel Dottor Stranamore, ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba. So che, puntuale ogni due-tre anni, arriva quel momento. In cui devo smettere di comprare la frutta al mercato e andare al discount. In cui tocca portare i panni da lavare a casa dei miei così almeno un costo lo abbatto. In cui devo valutare l'idea di piantarla con l'abbonamento a internet e collegarmi solo da wi-fi. In cui prendo i libri in biblioteca e mi annoto tutti quelli che mi sono piaciuti nella speranza di potermeli comprare quando e se avrò di nuovo un lavoro. In cui mi sveglio intontita e penso: ma che ci fa questo problema qui? Non avevo ovviato? E lo accetto.
Così esco di casa, quando quel momento arriva, e nonostante gli anni che passano la sensazione resta la stessa. Guardo le persone, le scruto. Osservo i loro modi, dove vanno, cosa indossano; e sembra che tutti sappiano esattamente qual è la loro direzione, la loro meta, il loro scopo. Avanzano stabili, esaminano le vetrine dei negozi con l'aria di ponderare con sicurezza le dimensioni e l'utilità degli oggetti che acquisteranno; poi, determinati, proseguono la marcia.
Allora inizio ad allontanarmi. Ho paura, devo farlo. Sono troppo confusa per rimanere tra gli esseri umani. L'essere disorientata mi causa distacco, e il distacco presto diventa una levitazione. Non sapendo che fare, o dove andare, vado verso l'alto. Dal levitare si passa al fluttuare, e dal fluttuare al volo. Ed è un volo, il mio, che somiglia non al preciso orientarsi di un mezzo aereo, bensì alla risalita sballottata dalle correnti di un palloncino.
Ed eccomi. Sono un'astronauta. Ora quegli individui così certi, così solidi, così decisi, mi appaiono uno sbiadito insieme lontano, una bassa nuvolaglia. Provo a toccarli dalla mia navicella, dove la gravità non esiste e l'incedere sicuro e dritto è un'utopia. Mi chiedo se ogni tanto, anche loro, non si sentano come se stessero sprecando la vita dietro a una sfilza di luoghi e stipendi e datori di lavoro che puntuamente preferiscono non rischiare e non dare chance a nessuno.
Ma, ora che sono quassù, tutto ciò non mi riguarda come quando stavo sulla Terra. Ora che sono quassù, il mio futuro è tra i marziani.

 

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