mercoledì 15 ottobre 2014

Impara l'arte e mettila da parte - riflessioni sul futuro (im)precario

Oggi di nuovo la splendida Camilla M. (nella foto mentre viene legata da Mattia durante un turno al bancone del MMAB) ci delizia con un racconto sulla sua infanzia. E sul precariato. E sulla differenza tra generazioni. Buona lettura!









Per iniziare questo post partirò dalla mia infanzia, ma per parlare della mia infanzia parlerò di mia nonna. Tra i racconti che mia nonna ripeteva all'infinito c'era l'esame di quinta elementare, nel 1931, superato con un “dieci e lodi particolari dalla direttrice”. Il giorno del tema di italiano, mi diceva soddisfatta, fece tre temi differenziati, due per dei carabinieri che dovevano prendere la licenza elementare e uno per sé. Il racconto dettagliato sui suoi temi era poi seguito dal racconto di come i maestri avessero voluto parlare con i suoi genitori, insistere perché continuasse a studiare perché solo con la quinta era sprecata, offrendosi di aiutarla a studiare per corrispondenza, visto che le medie erano a più di 100 chilometri dal suo paese. La conclusione era poi amara: sua mamma aveva già deciso che dopo le elementari la attendeva il lavoro di sarta, al quale era stata già avviata a 9 anni. “Impara l'arte e mettila da parte, diceva mia mamma... Ma poi da parte non me l'ha fatta mai mettere”, la frase finale, sempre la stessa, era accompagnata da una risata quasi simile a un sospiro.
Quando ho compiuto 9 anni mia nonna mi ha regalato un ditale ed un ago, raccontandomi di nuovo la storia della sua carriera di sarta, aggiungendo dettagli sui libri che teneva sotto la gonna e leggeva di nascosto quando sua madre non c'era. “Impara l'arte e mettila da parte” diceva anche a me mentre mi preparava le lezioni di cucito. Ricordo di essere stata molto contenta di imparare a cucire. Anche perché nel mio caso l'arte la mettevo davvero da parte, anzi, potevo permettermi anche il lusso di non impararla o impararla così così. Cosa che ho fatto, purtroppo, nonostante mi ci applicassi con entusiasmo.
Dopo le elementari, concluse egregiamente per la gioia di mia nonna, nella mia vita ho potuto permettermi le medie, le superiori, l'università. Direi che è andato tutto benissimo e sono stata fortunata: non c'è stato bisogno di grossi sforzi, nessuno mi ha mai vietato di leggere o studiare, nessuno mi ha dato un'arte per poi non farmela mettere da parte. Anzi. Da parte c'ho un sacco di cose. Solo che non si chiamano arti né mestieri. Si chiamano “competenze tecniche”, “competenze relazionali” o “altre competenze”. A volte sembrano cose inutili o senza senso, forse perché sono in inglesorum e nessuno ci capisce niente, forse perché, come ci tengono a comunicarti in maniera più o meno esplicita in molti colloqui di lavoro, si può trovare una qualsiasi scimmia ammaestrata che li impari e ti sostituisca se non sei abbastanza “flessibile”o motivata al lavoro gratuito per la nobile causa dell'azienda. In ogni caso, utili, inutili, essenziali, irrilevanti che siano le tue competenze ti conviene metterle nel curriculum, che tanto fanno ciccia e lo rendono più figo. Sempre che qualcuno lo legga. Insomma “prendi le tue competenze tecniche e mettile nel cv” avrebbe detto mia nonna nel XXI secolo, mentre mi insegnava ad essere multitasking.

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